lunedì 13 aprile 2015


VITAMINA D, LA VITAMINA DEL SOLE
Nei primi decenni del secolo scorso, prima della scoperta degli antibiotici, la cura con il sole é l’unico rimedio per malattie come la tubercolosi e il rachitismo. I pazienti con tubercolosi, mandati a trascorrere lunghi periodi in ambienti assolati, molto spesso guariscono. Anche i bambini rachitici con deformità a causa della mancata trasformazione rigida dell’osso, guariscono con l’esposizione al sole. A metà del Novecento le ricerche scientifiche dimostrano che in ratti, resi artificialmente rachitici,  l’esposizione della cute al sole e anche la somministrazione di olio di fegato di merluzzo avevano eccellenti effetti contro il rachitismo. Nel 1922 l’elemento comune al sole e all’olio di fegato di merluzzo viene identificato e chiamato Vitamina D. Da allora innumerevoli studi e ricerche su questa vitamina evidenziano il suo ruolo di micronutriente indispensabile non solo per il metabolismo dell’osso, ma anche per altre funzioni vitali dell’organismo.
Esistono due forme di Vitamina D che, pur differendo minimamente per la loro struttura chimica, hanno un metabolismo simile: la Vitamina D3 o colecalciferolo, contenuta in piccole quantità in prodotti di origine animale, ma prodotta per la maggior parte nella cute umana dopo irradiazione ultravioletta a partire dal 7-deidro-colesterolo e la Vitamina D2 o ergocalciferolo, prodotta solo nei vegetali dall’irradiazione ultravioletta a partire dall’ergosterolo, e pertanto assunta dall’uomo solo con la dieta.
La Vitamina D ottenuta dall’esposizione solare, o attraverso la dieta, è presente nell’organismo in una forma biologicamente inattiva e deve subire due reazioni di idrossilazione per essere trasformata in una forma biologicamente attiva. I due processi chimici di idrossilazione avvengono il primo nel fegato, senza regolazione, che genera la 25-OH-vitamina D o calcifediolo ed il secondo processo avviene nel rene, strettamente regolato, che genera la forma attiva di vitamina D chiamata 1,25-OH-vitamina D o calcitriolo.
La principale sorgente di Vitamina D è costituita nell’uomo dall’esposizione cutanea alla luce del sole e rappresenta il 90% della vitamina D circolante o in forma di deposito. La luce solare, nella sua componente di raggi ultravioletti B, è la migliore e più naturale sorgente di vitamina D ed è proprio la mancanza di esposizione al sole il fattore più rilevante di una sempre più diffusa carenza o insufficienza di Vitamina D. Nell’epoca attuale si passa meno tempo al sole rispetto alle passate epoche storiche, è questa la ragione per cui un  numero elevato di persone è carente di Vitamina D. Questo fenomeno è strettamente legato anche al diffuso impiego di cosmetici e a distorte informazioni sugli effetti dannosi dell’esposizione cutanea ai raggi ultravioletti.
La sorgente alimentare di vitamina D è invece assai scarsa, pochi cibi naturali contengono vitamina D e spesso in quantità limitate, tanto da provvedere solo al 10% del fabbisogno. I cibi con presenza di vitamina D sono il pesce grasso (salmone selvatico, sardine, sgombro, tonno e merluzzo) e i funghi secchi; quantità molto più basse si trovano anche nei derivati del latte intero e nelle uova.
Oggi la carenza di Vitamina D è estremamente diffusa. Oltre all’importanza della vitamina D per la salute dell’osso, recentemente diversi studi hanno suggerito che l’insufficienza di vitamina D sia associata ad un aumento del rischio per molte malattie croniche, comprese quelle cardiovascolari, il cancro, le infezioni e le malattie autoimmuni. Oggi la vitamina D è riconosciuta come pro-ormone con molteplici ruoli nel mantenimento di uno stato di salute ottimale.
La misurazione della concentrazione sierica o plasmatica della 25-OH-VITAMINA D TOTALE (D2+D3) è il più valido indicatore di stato nutrizionale per la vitamina D, conviene richiederla quando facciamo le analisi cliniche di laboratorio.

lunedì 23 marzo 2015




MANGIARE “INSIEME” SIGNIFICA MANGIARE MEGLIO

Mangiare è più che nutrirsi, è stabilire una  relazione  con se stessi, con gli altri e con i beni della terra.
Nel rapporto con se stessi il cibo costituisce la fonte primaria di nutrimento ed è strettamente correlato alla  salute e al piacere; in alcuni casi la privazione del cibo diventa esasperata perché a servizio dell’immagine fisica (anoressia e bulimia),  in altri casi c’è l’ingordigia che porta al sovrappeso e all’obesità.

Nel rapporto con gli altri, consumando insieme il cibo, la relazione diventa condivisione, a tavola dialoga la famiglia, si incontrano gli amici, gli uomini d’affari e i politici, si festeggia qualcuno o qualcosa. Le persone si ritrovano una di fronte all’altra con la propria individualità ed insieme condividono i beni della terra e la propria vita.

Con il cibo l’uomo stabilisce un rapporto con la terra e con il cosmo a cui appartiene, può distruggere la natura o coltivarla  entrando in un  rapporto di scambio con essa.
Mangiare insieme non solo unisce ed aggrega le persone, ma ci aiuta ad assaporare meglio ciò che mangiamo, a mangiare più lentamente secondo il ritmo della conversazione, e infine ci dà l’occasione di riappropriarci della cultura e della tradizione del cibo nel corso dei tempi e delle generazioni.


L’esperienza quotidiana non offre questa visione del mangiare insieme, molto spesso ciascuno ricerca il piacere prescindendo dall’altro,  per cui la convivialità è un percorso educativo che bisogna imparare e che si esprime concretamente nel mangiare insieme e nello stesso tempo si sviluppa  concretizzandolo nelle scelte che si fanno insieme a tavola.

venerdì 20 marzo 2015

sabato 14 marzo 2015

LE PATATE, I TUBERI BUONI CHE “DORMONO”
La patata è spesso erroneamente considerata una verdura,mentre contenendo molto amido,appartiene ai cereali, un gruppo degli alimenti ricchi di carboidrati.
La patata (Solanum tuberosum) è un tubero appartenente alla famiglia delle Solanacee ed è una pianta ormai diffusa in tutto il mondo.
Importata dall’America Centrale alla fine del XVI secolo ad opera dei grandi navigatori italiani,inglesi e spagnoli, la coltivazione della patata è andata estendendosi prima nell’Europa settentrionale e centrale, poi in  Francia e molto più tardi in Italia (merito soprattutto di Vincenzo Dandalo). All’inizio fu considerata solo una curiosità botanica ma, dopo aver dimostrato il suo valore nei periodi di carestia, si affermò come pianta alimentare.
Il tubero è un organismo vivo ma in dormienza, dopo circa 2 o 3 mesi però i puntini neri, che sono gemme, si risvegliano e germogliano. Per questa ragione le patate, specialmente quelle novelle, vanno consumate prima che germoglino, infatti nella fase di germinazione perdono valore nutritivo e producono solanina, una sostanza dagli effetti negativi sulla salute. Bollire le patate con la buccia è un buon sistema per trattenere più  nutrienti.
Per la lessatura delle patate è preferibile la partenza a freddo. Le patate, per la conservazione,  non sopportano le temperature troppo basse o troppo alte, l’ideale è conservarle in un luogo ventilato e buio.
La patata ha un modestissimo contenuto di grassi (inferiore all’1%) e di proteine (2%) che contengono  lisina , contrariamente alle proteine dei cereali;  il contenuto in carboidrati è considerevole (circa 18%) e rappresentato da amido (16%) e da piccole quantità di zuccheri semplici. Rilevante il contenuto in vitamine, quali B1, B3 , B6 e vitamina C, oltre ad acido folico e acido pantotenico. La patata rappresenta una delle fonti più  importanti di potassio (circa 570mg/100g), fosforo e calcio, che in parte passano nell’acqua di cottura se non ci si attiene alla precauzione di bollire le patate intere e  con la buccia.  E’ un ortaggio che non contiene glutine, per la consolazione dei celiaci , invece rappresenta un piccolo problema per i diabetici visto l’alto indice glicemico che provoca un aumento del glucosio nel sangue, per questo un diabetico ne può mangiare solo piccole porzioni, ad esempio 100 grammi 3 volte a settimana, non insieme alla pasta.
Le patate sono a pasta bianca o a pasta gialla, le più adatte a preparare gnocchi, ultimamente c’è la varietà Vitelotta,  cioè viola.  E’ più bitorzoluta, per cui la sbucciatura è più difficoltosa, però è più ricca di tannini  efficaci come antitumorali e antiossidanti.